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Un paese di poeti, santi e navigatori. Ma anche di «borghi». Da qualche anno, la riscoperta del policentrismo territoriale italiano viene veicolata nello spazio pubblico e mediatico dal concetto di «borgo» e dai suoi correlati semantici. Le migliaia di comuni italiani, la varietà e complessità territoriale di un paese costituito da poche grandi città, pochissime «metropoli», molte città medie, una miriade di piccoli comuni, frazioni, reti di città, campagne, coste, colline e montagne, vengono così ridotte all’immagine del «borgo». Facile rappresentazione ammalata di «metrofilia», che trae piacere dall’eccitazione per un oggetto percepito come atipico, privo di una propria volizione, da soggiogare e umiliare in un riconoscimento del tutto asimmetrico, dove il borghese illuminato e riflessivo «adotta» il borgo bello ma bisognoso. Un rapporto, questo, che misconosce l’autonomia dei territori, la loro libertà di «dire no», il loro carattere morale e paritario nella produzione di strategia di sviluppo condivisa. Fino a negarne l’identità specifica. Le conseguenze sono molteplici e nefaste. Come già per la cultura, la narrazione del «borgo» fa sì che anche la valorizzazione del territorio sia tale solo se inglobata nella goffa egemonia del «turismo petrolio d’Italia», oggi condita con una spruzzata di ecologismo che assomiglia più al giardinaggio che alla presa in carico della questione ecologica. Le stesse politiche pubbliche (si pensi al «Bando borghi» del Pnrr o alle iniziative delle case a 1 euro) soffrono di questa distorsione sistematica. Visto dai centri delle grandi città e con gli occhi di una classe dirigente (politica, economica, intellettuale) sempre più urbana per categorie e riferimenti culturali, se non per nascita e capitale sociale, il borgo diventa così il comodo e informe contenitore dove riporre, deformandola, l’alterità dei territori. Come se i territori del margine non avessero un loro carattere autonomo e differenziato, non fossero da riabitare anzitutto fin dalla vita quotidiana delle persone.

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    Italian
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    Italian
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About the author

Filippo Barbera

Filippo Barbera è professore di Sociologia economica e del lavoro all’Università di Torino e fellow presso il Collegio Carlo Alberto. Si occupa di economia fondamentale, sviluppo delle aree marginali e innovazione sociale. Tra le sue recenti pubblicazioni: Le piazze vuote (Laterza, 2024).

Domenco Cersosimo

Domenico Cersosimo, già professore di Economia applicata nell’Università della Calabria, è vicepresidente e membro del comitato direttivo del l’Associazione Riabitare l’Italia. Per Donzelli ha curato Contro i borghi (2022, con F. Barbera e A. De Rossi) e Manifesto per riabitare l’Italia (2020, con C. Donzelli).

Antonio De Rossi

Antonio De Rossi, architetto e PhD, è professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana e direttore dell’Istituto di Architettura montana e della rivista internazionale «ArchAlp» presso il Politecnico di Torino. Ha al proprio attivo diverse realizzazioni architettoniche e progetti di rigenerazione in territorio alpino. Con i due volumi La costruzione delle Alpi (Donzelli, 2014 e 2016) ha vinto il premio Rigoni Stern e il premio Acqui Storia.

Associazione Riabitare l'Italia

L’Associazione Riabitare l’Italia, promossa da un gruppo di studiosi, esperti, operatori e policy makers, con diverse sensibilità culturali e disciplinari, ha l’obiettivo di stimolare riflessioni e conoscenze condivise per costruire una nuova rappresentazione d’insieme dell’Italia, in grado di raccontarne le contraddizioni e le disuguaglianze, i punti di forza e le potenzialità, alla ricerca di un migliore equilibrio tra le persone, le risorse e i luoghi, con particolare riguardo alle aree interne, marginalizzate e periferiche. L’Associazione, di cui fanno parte soci individuali e collettivi, è stata fondata nel 2020. Riabitare l’Italia promuove una rete di ricerche, seminari, incontri e dibattiti, e cura, d’accordo con l’editore Donzelli, la realizzazione di una serie di libri ispirata al suo nome.

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